Arca e Fameja, Bertuzzo Michele

Nel giorno di chiusura dell’enoteca dedico spesso qualche ora alla degustazione di nuovi PIWI, un autentico piacere nello scoprire nuovi vini. Questi due che vi presento sono delle ottime scoperte.
Il produttore è Bertuzzo Michele, una piccola realtà viticola partita nel 2016 con la coltivazione di poco più di un ettaro. Siamo alle pendici della collina dei castelli di Giulietta e Romeo a Montecchio Maggiore (VI).

Vino bianco fermo da uve di Muscaris e Bronner allevate a guyot, raccolte a mano e fermentate con lieviti indigeni.
Alla vista è giallo paglierino carico con riflessi ramati. I profumi vanno verso l’aromatico, uva spina, rosa, miele, spezie dolci.

In assaggio è di corpo, regala sensazioni saline e pseudocaloriche notevoli.
Secco e leggermente tannico, nel retronasasale gli aromi diventano più fruttati, verso una pesca gialla matura, mela e frutta candita.
Le varietà utilizzate sono Muscaris e Bronner, un’accoppiata che per la prima volta trovo in un PIWI e che sembra funzionare alla perfezione. L’aromaticità del Muscaris compensa e bilancia la struttura del Bronner. I 3-4 giorni di macerazione delle uve lo rendono un vino ricco di sentori da comunicare. Ne giova anche la lunghezza ed una trama da grande bianco.

L’etichetta disegnata e il nome Arca parlano di un vino che contiene tante personalità e ci riporta all’essenza del vino che deve essere piacere e convivialità.
I tratti infantili nascondono un vino che potrebbe essere presentato da un’etichetta con sbalzi dorati ed invece con modestia si presenta in modo semplice.
La bellezza è dentro e in ogni sorso. Un vino da scoprire con calma, magari durante un aperitivo dove percorrere le varie stagionature di una toma d’alpeggio.

2024

Il rosso di Michele è ottenuto da uve di Cabernet Cortis e Cabernet Carbon allevate ad alberello, racolte a mano e fermentate con lieviti indigeni per poi affinare in barrrique e tonneaux esauste.

Qui il colore è compatto di un rosso rubino intenso. Al naso è intenso con una nota speziata del passaggio in legno che accompagna piccoli frutti neri macerati ed un ricordo vegetale balsamico.
Fameja è un invito olfattivo a mettersi a tavola. Devo ancora assaggiarlo ma già penso a degli gnocchi di patate e ad un gulash con polenta.


In bocca regala freschezza ed un tannino pronto per pasteggiare. Il ritorno balsamico è piacevole ed il volume alcolico del 13% ne determina una beva abbastanza facile. Il passaggio in legno ha smussato gli spigoli di questi Cabernet lasciando un buon ricordo di liquirizia nera e mora in confettura. Il ritorno balsamico diventa elemento di riflessione nella sua persistenza.

Sono due vini artigianali che raccontano un territorio e uno stile in modo preciso, si percepisce un’idea e una tecnica messi al servizio di uve sane coltivate nel rispetto dell’ambiente.
Questi sono vini “personali” che più di altri possono essere apprezzati da chi cerca qualcosa di diverso e autentico.