PIWI e CLONI. Presente e Futuro della viticoltura
Il cambiamento climatico, la maggiore sensibilità verso la sostenibilità delle produzioni agricole, hanno imposto la necessità di migliorare la resistenza e la resilienza della Vite da vino così come la conosciamo.
Dai primi anni del ‘900 si è lavorato sugli incroci di Vitis vinifera con le diverse specie del genere Vitis per acquisire quelle resistenze/tolleranze alle malattie fungine che consentono di ridurre drasticamente i trattamenti (ed in alcuni casi azzerarli). Il tutto senza rinunciare alla qualità tipica delle uve da Vitis vinifera. Siamo così arrivati ad avere, dalla fine degli anni ’60, delle varietà da re-incrocio con un profilo qualitativo elevato e praticamente indistinguibile nella comparazione gustativa con le varietà tradizionali.
Queste varietà “resistenti” sono ormai conosciute come PIWI; 36 di queste sono attualmente iscritte al Registro Nazionale delle Varietà in Italia (centinaia nel mondo) e coltivate in quasi tutta la penisola con ottimi risultati.
È il PRESENTE, sebbene per molti addetti del settore sia ancora qualcosa di lontano e futuristico rispetto alla viticoltura tradizionale.
La realtà è che circa lo 0,5% della viticoltura italiana è già fatta con varietà PIWI. Una nicchia molto piccola che è però in costante crescita, sia in termini di produttori/vini in commercio, che di regioni che ne autorizzano la coltivazione (ogni regione delibera quali varietà ammettere).
Anche il centro-sud Italia ha dovuto fare i conti con una pressione delle patologie della vite ed ora anche lì si sono aperti alla sperimentazione e autorizzazione di alcune varietà.
I tabù sono ancora presenti tra viticoltori e associazioni di categoria ed è per questo che l’articolo vuole dare un contributo alla comprensione dell’argomento in modo semplice e sintetizzato. L’infografica presentata qui sotto ha proprio questo scopo, far capire che ogni intervento di miglioramento genetico si svolge all’interno del genere Vitis e quali sono le opportunità in campo.
Se da una parte abbiamo le nostre amate varietà di Vitis vinifera suscettibili alle malattie fungine e agli stress del cambiamento climatico, dall’altro abbiamo solo due armi per contrastare queste avversità, i fitofarmaci o il miglioramento genetico (di genere).
È la seconda strada ad offrire i risultati migliori sotto il profilo della sostenibilità.
Le varietà PIWI ottenute da incrocio per impollinazione e selezione hanno dato origine a nuove varietà che nel loro re-incrocio hanno oltre il 95% di genoma di Vitis vinifera e richiedono il più basso intervento in vigna (in determinate zone/condizioni è azzerato).
Il FUTURO, grazie al sequenziamento del genoma e a tutti gli studi svolti in questi anni, ci offre la possibilità di arrivare ad avere piante tradizionali “resistenti”. Un processo che avviene attraverso il silenziamento di quei geni che concorrono alla suscettibilità alle malattie fungine. Detto in modo brutale, si fa in modo che il fungo non trovi il nutrimento necessario al suo sviluppo.
Queste tecniche (di mutazioni in laboratorio) sono conosciute come TEA (Tecniche di Evoluzione Assistita), oppure NGT (New Genomic Techniques), o NBT (New Breeding Techniques).
In Italia queste tecniche erano considerate alla stregua degli OGM (organismi geneticamente modificati) ma è chiaro che in questa situazione non si interviene sul genoma per inserire qualcosa di estraneo proveniente da altro genere.
La sperimentazione in laboratorio era permessa ma non quella in campo. Ed è evidente come il passaggio in campo sia lo step che certifica il lavoro fatto e ne registra il miglioramento effettivo. Ora però le cose sono cambiate e ne è stata autorizzata nel 2023 la sperimentazione in campo. Un passaggio memorabile che rende tangibile il grande lavoro di questi anni.
Le TEA ci offrono così un’opzione, finora impensabile, di avere dei cloni resistenti su quelle varietà che più rappresentano il nostro patrimonio ampelografico.
È bene però ricordare che, sebbene gli interventi sul genoma possano ridurre i tempi di realizzazione, stiamo comunque parlando di anni di attesa prima di veder registrati i nuovi cloni e di conseguenza i nuovi vigneti impiantati con queste piante. Nel mentre ci sono infiniti test e report che ne certifichino le qualità e le corrispondenze varietali.
Detto ciò, ed a fronte di questi anni sempre più critici in ambito vinicolo si può guardare al futuro con discreto ottimismo. Sia nell’ipotesi di realizzare adesso, o nel futuro più prossimo, un impianto con varietà resistenti PIWI, piuttosto che nell’ipotesi di avere un Clone Resistente nel Futuro più lontano (probabilmente tra non meno di un decennio).
In questo momento l’opzione migliore sono i PIWI, cultivar di pregio che aspettano solo di dimostrare le loro qualità. Sono frutto di una seleziona che non contempla solo l’acquisizione delle resistenze alle malattie fungine, sono state selezionate anche in base alla loro adattabilità alle mutate condizioni climatiche, agli stress idrici ecc..
Se ancora hai qualche dubbio prova ad assaggiare uno dei 350 vini PIWI in commercio o chiedi un parere ad uno degli oltre 200 produttori che li hanno scelti per il loro futuro.
Molto interessante