E dei vitigni resistenti nelle Denominazioni d’Origine?

Pensieri accaldati post seminario “Le prospettive delle varietà tolleranti per la produzione di vini a Denominazione d’Origine” organizzato da Civit e FEM.

Si sono aperti i sorrisi e stappate bottiglie quando sotto l’albero di Natale 2021 abbiamo trovato la direttiva europea che consente agli incroci di vitis di entrare nelle DO. Un atto che consacra all’olimpo dei ‘degni di DO’ anche quei figli di vitis dalla pelle diversa. Per molti, nella borghesia del vino, i Piwi sono stati questo fino all’altro ieri. Dei diversi che andavano relegati all’underground vitivinicolo.

Invece no, come quei meticci, magari brutti, ma super intelligenti, che nella razza canina si distinguono per le capacità operative, le VR hanno dimostrato superpoteri genetici. Hanno iniziato a passare di bocca in bocca e di vigneto in vigneto. Sono ancora una nicchia, meno dell’1% tra le varietà coltivate in Italia, ma sanno distinguersi bene, soprattutto quando il coltivatore le riesce ad interpretare in modo corretto (diverso dal convenzionale), sia in vigna che in cantina. Ed è da lì che possono uscire quei vini eccellenti che vincono premi ed iniziano ad essere suggeriti dai sommelier.

Che poi, quei vitigni “autoctoni” che si studiano sui libri di AIS, FISAR, ONAV ecc…,  suddivisivi per regione d’appartenenza, non sono poi così autoctoni. Tutte le varietà discendono da pochissime altre, vitigni migranti che si sono incrociati in millenni e che per questo non sono molto diversi dai Piwi. Sono solo più vecchi, è il territorio che gli ha conferito un particolare merito, non la varietà in sé. Il Nebbiolo è stato incoronato Re nelle Langhe, solo qui e in pochi altri posti diventa eccellenza. Stessa cosa per il Sangiovese, la Corvina, il Greco, la Nosiola ecc.. ognuno ha un suo territorio dove raggiunge la migliore espressione.

Parentage Atlas of Italian Grapevine Varieties as Inferred From SNP Genotyping
Claudio D’Onofrio, Giorgio Tumino, Massimo Gardiman, Manna Crespan, Cristina Bignami, Laura de Palma, Maria Gabriella Barbagallo, Massimo Muganu, Caterina Morcia, Vittorino Novello, Anna Schneider and Valeria Terzi.
Network of main POs among Italian varieties organized according to their geographic areas. The arrows indicate PO’s direction. Bold names indicate
POs reported for the first time in this study. Anthropogenic crosses are highlighted in light-blue. Parents of foreign origin contributing into spontaneous crosses are
highlighted in yellow with their alleged geographic groups. Parents from the cluster of Muscat varieties are highlighted in brown. Red connectors refer to still doubtful
PO direction. Connectors without arrow refer to PO without direction.
Fonte: Frontier in Plant Science 2021

Lo stesso succederà per le varietà VR che abbiamo disponibili, e per quelle prettamente italiane che saranno migliorate nei prossimi anni. Meglio poi se ci sarà un piano nazionale, sulla falsa riga di quello elaborato in Francia, dove per ogni zona sono state definite le varietà da migliorare.

Obiettivi della Ricerca francese nella creazione di Vitigni Resistenti
Fonte: 2022, Venerdi-Culturale_11.02.2022_Attilio-Scienza.pdf

Le DO, torno all’argomento. Niente da fare, perlomeno in Italia adesso. Ci sono un paio di righe scritte nella legge nazionale che ne impediscono l’introduzione immediata.
Se anche non ci fosse questo limite si inizierebbe con una percentuale minima del 5% nell’uvaggio della DO prescelta. Poca roba anche se perlomeno sarebbe un inizio.

Screenshot dal Catalogo Nazionale delle varietà di vite – http://catalogoviti.politicheagricole.it/catalogo.php

In Francia e Germania la distinzione non esiste, le VR sono equiparate alle vitis Vinifera, ed è logico che sia così. Oltre il 90% del patrimonio genetico è Vinifera, dov’è il problema?. Bisognerebbe tornare indietro e raccontare tante cose che però risultano superflue in questo post…

I FATTI dicono che è stata inviata una richiesta formale, scritta e firmata dagli Enti di Ricerca e con il parere favorevole del Comitato Vini, all’ormai ex ministro MIPAFF Stefano Patuanelli il 6 febbraio 2022.
Con oggetto: Eliminazione delle limitazioni a margine per le varietà di vite resistenti alle malattie nel RNVV.
Sempre i fatti dicono che non c’è stata alcuna risposta (basterebbe un decreto per cancellare il comma 6), ma nemmeno c’è stata una pressione da parte di qualche DOC per far entrare una VR nel disciplinare.

Quello che sembra più probabile, ma ancora lontano nel tempo, è che la prima DOC con presenza di VR sarà quella del Prosecco. Il progetto Glera resistenti è sostenuto dai produttori, trova un consenso generalizzato nell’indirizzo di una maggiore sostenibilità nel territorio. Permette poi la coltivazione in aree sensibili che altrimenti dovranno essere liberate. Comunque, senza togliere quelle righe di legge nemmeno il Prosecco potrà proseguire nell’introduzione. 

Diciamocelo in modo chiaro, le DOC sono un traguardo lontanissimo. Siamo ancora ad alcune regioni che permettono la coltivazione e la maggioranza no, ognuna con determinate varietà, nemmeno tutte perchè magari gli interessi di qualcuno potrebbero essere messi in discussione.
Come facciamo a parlare di VR nelle DO se non si possono nemmeno coltivare dappertutto?.

La tipica situazione all’italiana… nel frattempo Il clima cambia, alcune cultivar scompaiono lentamente e altre arrivano al Registro nazionale ricche di buoni propositi ma ignorate dai più, alcune soffrono ma guai ad immaginare qualcosa di diverso, e altre si spostano più in alto. Non si può pensare che tutto resti immutato, il futuro vitivinicolo risulta sempre più bisognoso di miglioramento genetico per contrastare gli effetti del cambiamento climatico e le fitopatie più pressanti.

I VR sono la risposta e il futuro. Perlomeno questo è stato appurato più o meno trasversalmente.

Seguendo i dibattiti, sembra che l’aspetto redditizio/remunerativo sia fondamentale. La ragione unica per la diffusione delle VR. L’aspetto economico prima di quello Ideale. Il business vino richiede grandi numeri e investimenti per attirare l’attenzione. Sarà sicuramente così, non potrebbe essere altrimenti per un imprenditore agricolo. Eppure tanti con cui ho parlato si muovono su un piccolo vigneto che tengono come un giardino e dove potrebbero far giocare i propri figli, pochi o pochissimi ettari. Hanno scelto le VR con forte motivazione, abbracciando spesso una conduzione che va oltre il biologico, favorendo la biodiversità e con la ferma volontà di fare un vino naturale, il più possibile salubre.

A mio modesto parere non servono tante strategie, questo è il prodotto da vendere. In questa ottica persino la DO diventa secondaria. Il consumatore è sempre più sensibile a queste tematiche piuttosto che alla DO riportata in etichetta.

Sfatiamo il mito che DOC e DOCG (DOP), siano sempre un marchio di qualità superiore. Non è raro assaggiare delle vere fetecchie. Non sarà certo un 5% di VR in una DO a decretare il successo della varietà resistente XY. 

C’è poi lo strumento IGT, ampiamente sottoutilizzato che potrebbe valorizzare meglio un vino VR rafforzandone il legame territoriale.

Il valore della ‘sostenibilità’ è probabilmente poco per suscitare interesse ed è ormai abusato in tanti settori ma se questo valore rappresenta il meglio che puoi trovare allora ha senso usarlo e bisogna farlo con forza e convinzione.

L’ultimo posto dove vorrei vedere i vini Piwi sono i supermercati, un’idea utopistica e contraddittoria lo ammetto. Tutto cambia e se davvero abbiamo a cuore il miglioramento ambientale dobbiamo augurarcelo. Molto meglio un Piwi standardizzato sullo scaffale che un’altro prodotto chimico sul terreno… meglio ancora se si puntasse in modo univoco alla qualità più alta possibile, persino dentro alla GDO, perchè no?, perchè immaginare minor costo e semplicità come percorso per le VR?.

I dati, sebbene nell’ambito di una nicchia davvero piccola, mostrano una costante crescita. Gli ettari coltivati e i vini in commercio aumentano senza sosta. Chi ha investito e crede profondamente nei VR inizia a raccogliere i frutti monetari attraverso vini di ottima qualità, venduti a prezzi congrui ad un pubblico che apprezza i valori intrinsechi delle VR. Questo genere di vini sono quelli che io come consumatore ricomprerò. Gli altri, quelli semplici e senza carattere, li ho già dimenticati.

Fonte: dati SIAP 2022; presentazione Dott. Mario Chemolli, ex Direttore Tutela Produzioni Agricole PAT

Tutto il settore VR potrebbe migliorare e crescere più velocemente con una migliore intesa tra produttori/regioni. Un coordinamento nazionale sarebbe auspicabile. Le singole voci diventerebbero un coro e l’attenzione dei media verrebbe catturata più facilmente e di conseguenza quella dei consumatori. Il recente tour di Piwi Lombardia e il Concorso enologico organizzato dalla Fondazione Edmund Mach sono begli esempi che potrebbero essere ampliati facilmente.

C’è ancora tanto da fare ma le VR non le fermerà nessuno. 

Le DO prima o poi si apriranno. Magari per il prossimo Natale riceveremo il regalo di vedere cancellato il comma che vieta gli incroci di vitis…

Buona estate

Note
L’articolo esprime idee personali e non sempre collegate alle tematiche del Seminario.
Per una migliore comprensione e soprattutto per farsi una propria idea consiglio di guardare la registrazione del Seminario. I massimi esperti trattano in modo approfondito parecchie questioni che ho solo accennato.
Disponibile sul canale YouTube di CIVIT Consorzio Innovazione Vite di Trento. (https://www.youtube.com/watch?v=y-FuSMqhPrc).

I ringraziamenti vanno a CIVIT e Fondazione Edmund Mach per aver organizzato ed offerto gratuitamente questo seminario, e a tutti i relatori che hanno partecipato.
In particolare segnalo i bellissimi interventi del Prof. Attilio Scienza, Presidente Comitato Nazionale vini DOP/IGP e del Prof. Marco Stefanini, Responsabile Unità Genetica e miglioramento genetico della vite di FEM.